LA SCACCHIERA: DANIEL LIBESKIND
Daniel
Libeskind nasce a Lodz, in Polonia, nel 1943. Trasferitosi in Israele, si
dedica allo studio della musica, si sposta prima negli Stati Uniti, dove
consegue la laurea in architettura presso la Cooper Union nel 1970, dopo aver
frequentato corsi tenuti da John Hejduk e Peter Eisenman, e in seguito in
Inghilterra, dove ottiene una specializzazione in storia e filosofia presso la
Essex University.
È
considerato uno dei più importanti esponenti contemporanei dell’architettura
decostruttivista.
Daniel
Libeskind rappresenta un mondo fatto di processi, di sistemi, di strati che non
possono essere rimessi insieme ma che mostrano una lacerazione che non si può
sanare.
Museo
ebraico, Berlino, Germania (1989-1999)
Lo schema del museo diventa una linea spezzata che procede a zig-zag. Muovendosi all’interno del museo si attraversano percorsi lineari per poi improvvisamente imbattersi in difficili bivi, come fosse un labirinto. Si scende poi si sale, ci si immerge nelle fratture, in spazi prima chiusi poi aperti. I volumi che circondano lo spazio interno sono tagliati da linee diagonali in modo da creare sia scene di luce che di buio. Il museo ebraico non è solo esposizione ma un’esperienza che racconta un dramma, che “comunica”. Il simbolismo diventa il motore di sviluppo dell’intera spazialità.
Il museo si trasforma in una linea spezzata e zigzagante nel suolo che è prima compressa nel racchiudersi degli angoli e poi slanciata come una freccia aperta verso l'infinito. L'edificio parte dalla sede del museo preesistente e quindi si muove progressivamente sul terreno. A questa freccia si sovrappone un'altra figura rettilinea che la incrocia in più punti e la mette in ulteriore tensione. Gli spazi interni procedono linearmente, ma ad ogni incrocio si aprono nuove possibilità, nuovi percorsi e nuovi drammatici bivi.
Per
la prima volta, con questa opera, l'architettura affronta il dramma.
“Libeskind diventa uno dei rari architetti che aiuta a misurarsi con le irragionevolezze del mondo e della storia. L'architettura, arte costruttiva, solida, razionale e certa per definizione, ha incontrato raramente nella sua storia questo lato difficile e crudele. Forse nei cunicoli scavati nelle masse tufacee delle catacombe per proteggersi dal martirio, forse negli anfratti tardo medievali, dalle cui grosse mura sembra quasi impossibile che possa trapelare il bagliore di un risveglio, forse nella tensione autobiografica di alcune strutture di Michelangelo o nei macerati spazi di Borromini o nelle sovrapposizioni infinite di Giambattista Piranesi. Nel Novecento il momento più alto di questo sentire l'architettura attraverso le irragionevolezze del mondo e della storia sono gli schizzi di Mendelsohn tracciati in trincea mentre le bombe disegnavano le loro traiettorie e i gas si spandevano nell’aria. “
Ma
a parte queste pochissime eccezioni, l'architettura è quasi sempre affermativa,
positiva:
è sicurezza, gioia, speranza. Libeskind con il Museo dell'Olocausto rivela
un'altra via: la realtà può essere avvicinata solo come costante
interconnessione di processi, di sistemi, di "strati". E' la nostra
percezione stessa che assomiglia sempre più a quella del palinsesto con i suoi
layer sovrapposti. Il molteplice, il diverso, l'altro, sembra dire Libeskind, è
la nostra ricchezza.
“L'architetto opera nella consapevolezza che la realtà vive in materie distanti, che la storia unifica condizioni plurime, che le differenze siano una fonte di ricchezza: in questo nasce il suo interesse ai temi della combinazione di sostanze eterogenee… “
Il
concetto di fluidità architettonica è, probabilmente, difficilmente
comprensibile ed accettabile, proprio perché viene associato all’arte del
costruire che si è sempre occupata di erigere strutture durature, solide e
statiche. Ma nell’era contemporanea dominata dalla fluidità virtuale del World
Wide Web o del Cyberspace, è chiaro che il mondo della solidità e della
concretezza subisca l’influsso di nuovi concetti. Da questo «labirinto senza
fine» qual è il ciberspazio, si mutua l’elemento del disorientamento,
caratteristica tipica della costruzione libeskindiana qui presa in esame, che
ben risponde all’idea di destabilizzazione architettonica proposta da Peter
Eisenman, maestro di Libeskind, nonché teorico del concetto di decostruzione in
ambito architettonico.
Non più figure geometriche, ma linee che si intersecano senza creare angoli retti.
Sulla scia del pensiero di Libeskind perché non pensare che l’architettura, l’uomo, l’edificato possa entrare in contrasto con la natura?
Il museo ebraico è uno strappo inserito
in un tessuto edilizio con la volontà di strappare, con la pretesa di lasciare
una cicatrice, con la possibilità di creare esperienza e di conseguenza
ricordo.
Non per forza, nell’architettura di
Libeskind deve esserci continuità, omogeneità, e questa è la sintassi da
seguire: un’accademia di Land-Art deve unirsi al suolo che la ospita? Deve
confondersi con la natura? Non può, invece, essere considerata come la
spezzata, la linea, l’edificio a zig-zag che riunisce e ricuce una faglia, uno
strappo nel terreno, un’invasione, una rottura.
Questo segno, quest’edificio che verrà
progettato, sarà eterogeneo dal punto di vista dei materiali: sarà in cemento,
in vetro, in legno, non si dovrà per forza mischiare con la natura, deve essere
il collegamento e al tempo stesso il simbolo di rottura che c’è tra uomo e
natura.
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